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Il futuro di Newcleo: un focus sugli investimenti in Francia
Newcleo ha annunciato un piano di investimenti da 3 miliardi di
euro in Francia, contemporaneamente alla sospensione del programma
di sviluppo di reattori veloci nel Regno Unito
La scelta strategica di ridurre notevolmente la presenza in UK è stata
motivata dalla mancanza di supporto governativo britannico e
dall’indisponibilità di plutonio per il riciclo del combustibile, un
elemento chiave per la società.
La Francia è diventata quindi il fulcro della strategia aziendale,
dove Newcleo sta concentrando le sue energie per lo sviluppo e la
realizzazione dei suoi ambiziosi progetti. Gli obiettivi per il 2030
sono considerati ottimistici dagli addetti ai lavori, a causa delle
difficoltà, e delle tempistiche serrate, nello sviluppo della
tecnologia di raffreddamento al piombo e riciclo delle scorie.
È notevole il recente accordo con il governo italiano sul Centro
Ricerche Enea del Brasimone, sull’Appennino tosco-emiliano. Lì
Newcleo intende costruire un simulatore elettrico di un reattore
nucleare a piombo liquido che non userà combustibile radioattivo, con
l’obiettivo di studiarne le prestazioni meccaniche e termodinamiche.
Secondo la revisione di Pwc sul bilancio del 2024, Newcleo ha mostrato
una crescita dei ricavi a 70 milioni di euro, grazie a recenti
acquisizioni strategiche. A fronte di una perdita di 110 milioni e
costi che ammontano a 13 milioni al mese, i revisori hanno
sottolineato l’importanza di un nuovo apporto di capitale per
sostenere la crescita futura. In questo scenario, la recente
decisione di spostare il quartier generale da Londra a Parigi,
motivata dal più ampio accesso ad investitori, rafforza l’impegno di
Newcleo verso il suo nuovo centro operativo.
L’idea alla base di Newcleo è potenzialmente rivoluzionaria. Il suo
successo dipenderà dalla capacità di attrarre nuovi investitori,
pronti a scommettere sul futuro del nucleare di quarta generazione in
un contesto che premia la collaborazione e una visione a lungo
termine.
Riflessioni sul mercato immobiliare italiano
Il mercato immobiliare italiano è un argomento complesso e spesso
polarizzante. I prezzi che salgono rendono difficile per molti
l’acquisto o l’affitto di una casa, mentre i prezzi che scendono
preoccupano i proprietari, per i quali la casa rappresenta
l’investimento più importante. Di seguito, qualche dato e qualche
possibile chiave di lettura del fenomeno.
Un paese di proprietari con molte case vuote
Un dato significativo è che il 75.2% delle famiglie italiane vive in
una casa di proprietà. Allo stesso tempo, un altro dato OECD
rivela che l’Italia ha 598 case ogni mille abitanti, 28% in eccesso
della media OECD e il valore più alto in Europa, con quasi
un’abitazione su tre (in totale più 9,5 milioni di unità) non
occupata. Questa situazione di sovrabbondanza di immobili non
si traduce in un’ampia disponibilità sul mercato, poiché molti
proprietari evitano di affittare le proprie case per paura di morosità
o preferiscono mantenerle come investimento o eredità per i figli.
I due lati della stessa medaglia: le città in crescita e quelle in declino
Le dinamiche dei prezzi immobiliari variano drasticamente a seconda
del contesto. A Milano, negli ultimi cinque anni i prezzi sono
aumentati del 43,2%, contro una media delle metropoli dell’8,8%.
Questo fenomeno è guidato da una domanda in costante crescita,
alimentata da un’intensa migrazione di nuovi residenti e da
investimenti, inclusi quelli nel settore degli affitti brevi tramite
piattaforme come Airbnb, che contribuiscono a una rapida
trasformazione socio-demografica. Basti pensare che un aumento
dell'1% degli annunci su Airbnb è associato a un aumento del 6,7% dei
prezzi di vendita delle case, e del 5,7% degli affitti.
Questo squilibrio tra domanda e offerta genera una
“gentrificazione” di alcune zone urbane: intere aree diventano
inaccessibili per studenti, giovani e pensionati, che sono costretti a
spostarsi in zone periferiche o a rinunciare del tutto a trasferirsi
in città. Questo processo ha conseguenze su molti altri aspetti della
vita urbana, dai servizi pubblici e privati (esempio, insegnanti e
infermieri che non riescono a permettersi l’affitto) alla gestione dei
trasporti.
In contrapposizione, nella maggior parte del Paese e in città come
Roma, i prezzi delle case sono scesi, in un fenomeno di crisi che
coinvolge intere aree. Le difficoltà nel vendere immobili, o la
necessità di farlo a prezzi inferiori rispetto all’acquisto, creano
una situazione di perdita di valore del patrimonio immobiliare,
penalizzando i proprietari e l’economia locale.
La legge economica della domanda e dell’offerta
Alla base di queste dinamiche, vi è la legge economica fondamentale
della domanda e dell’offerta. Quando la domanda di case supera di
gran lunga l’offerta, i prezzi salgono a causa della competizione tra
acquirenti. Al contrario, un eccesso di offerta e una scarsa domanda
portano i prezzi a scendere.
Intervenire per risolvere questi problemi è complesso. Le soluzioni
richiedono un approccio integrato che coinvolga enti locali e
nazionali. È necessario incentivare la messa a disposizione degli
immobili sfitti, promuovere la costruzione di nuove abitazioni (poiché
l’Italia è agli ultimi posti in Europa per nuove case costruite in
rapporto alla popolazione (tra il 2010 e il 2023 il numero dei nuovi
permessi di costruire e’ sceso del 50%) e implementare politiche
di sostegno per garantire un’offerta di alloggi più equa e
accessibile. Solo così si potrà affrontare la crisi immobiliare in
tutte le sue sfaccettature.
I distretti di eccellenza, e l'impianto LVMH in Texas
Per le nazioni occidentali, smantellare le catene di
approvvigionamento globali, e riavviare la produzione nazionale di
beni a lungo delocalizzati, è incredibilmente difficile da realizzare
nel breve termine e porterebbe quasi certamente a un massiccio aumento
dei prezzi al consumo. Le recenti difficoltà del colosso del lusso
LVMH in Texas ne offrono un esempio.
Nel 2019, il CEO di LVMH Bernard Arnault, insieme all’allora
presidente Donald Trump, inaugurò una nuova fabbrica Louis Vuitton in
un ranch ad Alvarado, Texas. L’impianto, denominato “Rochambeau”, era
destinato a produrre le iconiche borse, spesso vendute al dettaglio a
partire da 1.500 dollari, recanti l’ambita etichetta “Made in USA”.
Secondo un recente rapporto di Reuters che cita ex dipendenti e
fonti del settore, lo stabilimento texano sarebbe diventato uno degli
impianti Louis Vuitton con le peggiori prestazioni a livello globale,
afflitto da problemi di produzione. Una sfida principale risiede nel
trovare e formare lavoratori capaci di soddisfare gli esigenti
standard artigianali del marchio. Le fonti hanno descritto difficoltà
anche nella produzione di componenti più semplici, uno spreco
significativo di materiali (secondo quanto riferito, fino al 40% delle
pelli, il doppio della norma del settore) e pressioni che hanno
portato i supervisori a nascondere i difetti con metodi non in linea
con i protocolli. Le borse mal realizzate e ritenute inadatte alla
vendita sarebbero state triturate e incenerite. Ciò evidenzia la
difficoltà fondamentale di replicare un processo produttivo
specializzato e ad alta qualificazione in una regione priva di un
ecosistema radicato per esso, anche per un’azienda con le risorse di
LVMH. Il salario iniziale riportato di 17 dollari l’ora nel 2024,
sebbene ben al di sopra del minimo salariale del Texas, riflette
probabilmente il disallineamento tra le aspettative retributive e il
livello di maestria richiesto per una borsa da oltre 2.000 dollari,
complicando ulteriormente il reclutamento e la fidelizzazione.
Nonostante questi problemi, LVMH prevede di consolidare ulteriormente
in Texas, mirando a chiudere un laboratorio californiano entro il
2028, sebbene convincere i lavoratori qualificati a trasferirsi si sia
rivelato difficile.
La logica iniziale dietro l’impresa texana era strategicamente
valida sulla carta. Gli Stati Uniti sono un mercato critico e in
crescita per LVMH. Produrre a livello nazionale offriva vantaggi come
evitare potenziali dazi all’importazione e, soprattutto, consentire
una risposta più rapida e agile alla domanda dei consumatori
americani, riducendo i tempi di consegna e i costi logistici rispetto
alla spedizione dagli atelier europei. Il Texas è stato scelto per la
sua posizione centrale, la sua storia nella lavorazione della pelle, e
le agevolazioni fiscali. LVMH prevedeva di creare 1.000 posti di
lavoro, in linea con la narrativa politica di rivitalizzare la
produzione statunitense. L’aspettativa era che i lavoratori americani
potessero essere formati per replicare la qualità affinata nel corso
di decenni nei tradizionali laboratori Louis Vuitton in Francia,
Spagna e Italia. Tuttavia, il divario tra questa aspettativa e le
difficoltà operative riportate sottolinea le complessità coinvolte.
Questa sfida è spiegata, in parte, dal concetto di cluster
industriali, ampiamente studiato da Michael E. Porter. Porter
sostiene che, nonostante la globalizzazione, la localizzazione rimane
critica. L’attività economica spesso si concentra in “cluster”: aree
geografiche in cui aziende interconnesse, fornitori specializzati,
fornitori di servizi e istituzioni associate (come università o centri
di formazione) creano un ambiente competitivo unico. Questi cluster
favoriscono un’elevata produttività, guidano l’innovazione attraverso
la conoscenza condivisa e la concorrenza e stimolano la formazione di
nuove imprese. I vantaggi derivano dalla prossimità: accesso più
facile a input e competenze specializzate, relazioni più profonde,
flusso di informazioni più rapido e forti incentivi locali. Questo
profondo bacino di conoscenze specialistiche, manodopera qualificata e
supporto istituzionale, spesso costruito nel corso di generazioni, è
precisamente ciò che esiste nei distretti manifatturieri di fascia
alta consolidati (molti ora in Asia orientale, così come nei centri
europei tradizionali) ed è incredibilmente difficile – e richiede
tempo – da replicare da zero altrove.
A complicare la sfida di costruire competenze specifiche per i beni di
lusso c’è un problema più ampio e sistemico negli Stati Uniti: un
persistente divario di competenze nel settore manifatturiero. Secondo
studi di Deloitte e The Manufacturing Institute (il partner per lo
sviluppo della forza lavoro della National Association of
Manufacturers, NAM), gli Stati Uniti potrebbero affrontare una carenza
di 2,1 milioni di lavoratori manifatturieri entro il 2030, costando
potenzialmente all’economia 1 trilione di dollari solo in quell’anno.
Anche prima della pandemia, i produttori lamentavano difficoltà nel
trovare manodopera qualificata. Oggi, nonostante una disoccupazione
più elevata rispetto al 2018, trovare il talento giusto è stimato
essere il 36% più difficile. I dirigenti faticano a ricoprire persino
posizioni produttive entry-level, per non parlare di ruoli
specializzati che richiedono competenze avanzate. Questa carenza
deriva da un mix di fattori, tra cui un divario di percezione riguardo
alle carriere manifatturiere moderne e una mancanza di lavoratori con
le necessarie competenze tecniche. L’esperienza di LVMH in Texas
funge da microcosmo delle sfide più ampie che affrontano le economie
occidentali che mirano a rilocalizzare la produzione (reshoring).
Dimostra che anche marchi ben finanziati e riconosciuti a livello
globale faticano a stabilire rapidamente una produzione di alta
qualità in nuove località prive di cluster industriali consolidati e
che affrontano un mercato del lavoro qualificato ristretto.
Il reshoring della produzione complessa non è una soluzione rapida e
non sarà economico. Le difficoltà nel raggiungere qualità ed
efficienza, unite ai costi del lavoro occidentali significativamente
più alti (anche 17 dollari l’ora sono molto al di sopra dei salari in
molti centri manifatturieri asiatici consolidati, ma potenzialmente
insufficienti per competenze di livello lusso negli Stati Uniti),
puntano inevitabilmente verso costi di produzione più elevati. Questi
costi, derivanti da investimenti in formazione, minore produttività
iniziale, spreco di materiali e salari, verrebbero alla fine
trasferiti ai consumatori, portando a un massiccio aumento dei prezzi
per beni attualmente prodotti in modo più efficiente altrove. Sebbene
il reshoring strategico per industrie critiche possa essere
necessario, l’idea di un’inversione totale della globalizzazione senza
un significativo dolore economico e un sostanziale investimento a
lungo termine in competenze e infrastrutture rimane, per ora, in gran
parte utopico.
Bibliografia
I piani urbanistici come assicurazioni contro le svalutazioni nel lungo periodo
Molto interessante, in Abundance, come vengono analizzati i
rischi legati all’acquisto di una casa e come questi vengano spesso
mitigati, dal pubblico,attraverso i piani urbanistici.
Gli autori citano un passaggio di Fischel, osservando che
l’acquisto di una casa equivale a investire i propri risparmi di una
vita in un’unica azienda non diversificata, altamente vulnerabile ai
rischi locali come i cambiamenti del quartiere o le mutevoli politiche
municipali: una pratica finanziaria che, presentata così, avrebbe ben
poco seguito.
Suggeriscono poi che le politiche pubbliche, in particolare i
regolamenti e piani urbanistici, si siano evolute per mitigare questi
rischi. Queste norme – come i comuni regolamenti locali che impongono
dimensioni minime dei lotti, impediscono la costruzione di edifici
plurifamiliari o di edilizia popolare, e richiedono ampi parcheggi –
non sono semplicemente arbitrarie, secondo questa prospettiva.
Piuttosto, servono a proteggere il carattere esistente e, aspetto
cruciale, i valori immobiliari di un’area. Agiscono come un
cuscinetto contro i cambiamenti che potrebbero avere un impatto
negativo sull’ingente e illiquido investimento del proprietario di
casa.
Limitando lo sviluppo edilizio e mantenendo lo status quo viene
fornita efficacemente una forma di assicurazione per i proprietari di
casa. Questo uso delle strutture burocratiche per salvaguardare gli
investimenti esistenti riecheggia discussioni più ampie su come tali
pratiche possano preservare la ricchezza, in particolare tra i gruppi
consolidati.
I pregiudizi di conferma e gli economisti rispettabili
Immagina di vedere qualcuno usare una padella per piantare chiodi nel
muro. Gli dici: “Nessuna persona seria farebbe così”.
Questo modo di parlare non persuade. Se il loro metodo funziona per i
pochi chiodi di cui hanno bisogno e nulla sembra andare storto,
limitarsi a dire che non è ‘serio’ non dà loro alcuna vera ragione per
cambiare. Perdi l’occasione di spiegare i vantaggi reali di un
martello che contano per tutti – più veloce, più sicuro a lungo
termine, evita danni. Queste sono ragioni migliori che parlare
semplicemente di essere ‘seri’.
Vedo questo stesso problema quando si discute di economia. Quando si
afferma: “Nessun economista rispettabile sosterrebbe queste
politiche”, è come il commento sulla padella. Questo tipo di
affermazione non raggiunge le persone a cui è rivolta, perché le
persone che sostengono quelle politiche probabilmente non si curano
dell’idea di ‘rispettabile’ di quel particolare gruppo. Quindi, la
critica diventa per loro rumore privo di significato. Questo
approccio costruisce muri tra gruppi (le cosiddette “camere di
risonanza”) invece di aiutare la comprensione o permettere che si
mettano in discussione politiche potenzialmente errate. Impedisce a
persone con idee diverse di parlarsi, il che è necessario per
verificare i nostri pregiudizi (vedi pregiudizi di
conferma).
Invece di concentrare le argomentazioni su ciò che gli esperti
‘rispettabili’ approvano, la vera sfida dovrebbe essere cercare idee o
critiche così fondamentali, basate su prove evidenti a tutte le parti,
o sulla logica (anch’essa, evidente, più che corretta), che persino
gli economisti con opinioni molto diverse o meno ‘rispettate’
dovrebbero ammettere che sono valide, o almeno discuterle seriamente.
Trovare questo terreno comune, o punti di disaccordo che tutti
riconoscono, sembra molto più produttivo che fare affidamento
sull’etichetta di ‘rispettabilità’, che è spesso soggettiva e usata
per escludere le persone.
Materie prime critiche
La Commissione Europea ha annunciato una lista di 47 progetti
strategici per ridurre la dipendenza dell’Unione dalle importazioni di
materie prime critiche, in particolare dalla Cina.
Questi materiali, tra cui litio, cobalto e nichel, sono essenziali per
l’industria tecnologica, militare, aerospaziale e per la transizione
ecologica. L’iniziativa rientra nell’attuazione del Critical Raw
Materials Act (CRMA) approvato nel 2024, che stabilisce l’obiettivo di
soddisfare almeno il 10% della domanda di estrazione, il 40% della
lavorazione e il 25% del riciclo entro il 2030. Il piano prevede un
investimento complessivo di 22,5 miliardi di euro e una significativa
riduzione dei tempi burocratici per l’approvazione dei progetti:
massimo 27 mesi per le miniere e 15 mesi per gli altri impianti.
Tra i 47 progetti selezionati, quattro riguardano l’Italia e sono
focalizzati esclusivamente sul riciclo delle materie prime
critiche. Il più grande, con un investimento tra i 350 e i 400 milioni
di euro, è quello di Glencore a Portovesme (Sardegna), che
convertirà parte del suo impianto per il riciclo delle batterie
esauste e il recupero di materiali preziosi. Solvay, multinazionale
belga, userà il suo stabilimento chimico di Rosignano (Toscana)
per estrarre palladio dalle marmitte catalitiche. A Frosinone,
Itelyum Regeneration si occuperà del riciclo dei rifiuti elettronici,
mentre Circular Materials, con sede a Padova, svilupperà un
impianto per recuperare nichel, rame e platino dagli scarti liquidi
industriali.
Questa iniziativa rappresenta un passo significativo verso un’Europa
più autonoma e resiliente nel settore delle materie prime critiche. La
riduzione della dipendenza dalle importazioni mitiga i rischi legati
alle instabilità geopolitiche e rafforza la sicurezza economica
dell’UE. Inoltre, il focus sul riciclo in Italia evidenzia un impegno
concreto verso la sostenibilità ambientale, riducendo la necessità di
nuove estrazioni. Con il supporto finanziario e regolatorio della
Commissione, questi progetti potranno accelerare la transizione verso
una catena di approvvigionamento più sicura ed efficiente per
l’industria europea.
Il pregiudizio di conferma: un ostacolo per il marketing delle piccole imprese manifatturiere
Le piccole imprese manifatturiere spesso operano con risorse limitate
e margini di profitto ridotti. Un marketing efficace è essenziale per
la sopravvivenza e la crescita. Tuttavia, un pregiudizio cognitivo
diffuso, il pregiudizio di conferma, mina frequentemente i loro sforzi
di marketing, portando a opportunità mancate, spreco di risorse e, in
definitiva, stagnazione.
Cos’è il pregiudizio di conferma?
Il pregiudizio di conferma è la tendenza a cercare, interpretare,
favorire e ricordare informazioni che confermano o supportano le
proprie convinzioni o valori preesistenti. È un’inclinazione umana
naturale, ma nel mondo degli affari, in particolare nel marketing, può
essere una forza devastante. Questo articolo esplora i modi specifici
in cui il pregiudizio di conferma influenza negativamente le attività
di marketing delle piccole imprese manifatturiere, evidenziando le
insidie e offrendo potenziali soluzioni.
Distorsioni nella ricerca di mercato e nella comprensione del cliente:
Le piccole imprese manifatturiere spesso operano in mercati di
nicchia, sviluppando una forte conoscenza della propria
clientela. Questa familiarità, tuttavia, può generare compiacimento e
riluttanza a mettere in discussione le ipotesi esistenti. Il
pregiudizio di conferma si manifesta in:
- Raccolta selettiva dei dati: Invece di condurre una ricerca di
mercato completa, i manager potrebbero concentrarsi su dati che
rafforzano le loro convinzioni preesistenti sul pubblico di
destinazione.
- Interpretazione errata del feedback: Anche quando viene presentato
un feedback diversificato dai clienti, i manager potrebbero
interpretarlo selettivamente per adattarlo alla loro narrativa
esistente.
- Ignorare le tendenze emergenti: Il panorama manifatturiero è in
continua evoluzione, con nuove tecnologie, preferenze dei
consumatori e pressioni competitive che emergono regolarmente. Il
pregiudizio di conferma può rendere i manager ciechi a questi
cambiamenti.
Posizionamento del prodotto e messaggi inefficaci:
Il pregiudizio di conferma può ostacolare gravemente la capacità di
un’azienda di posizionare efficacemente i propri prodotti e creare
messaggi di marketing convincenti. Questo accade attraverso:
- Marketing a “effetto eco”: I manager potrebbero fare affidamento
sulle proprie percezioni interne e sulle opinioni di colleghi o
clienti di lunga data che la pensano allo stesso modo, creando una
camera di risonanza che rafforza le loro convinzioni esistenti sulla
proposta di valore del prodotto.
- Persistere con messaggi familiari: Se un particolare messaggio di
marketing ha avuto successo in passato, i manager potrebbero essere
riluttanti a cambiarlo, anche se le condizioni di mercato sono
cambiate.
- Trascurare l’analisi della concorrenza: Il pregiudizio di conferma
può portare a una visione distorta del panorama competitivo.
Allocazione inefficiente delle risorse e della spesa di marketing:
Le risorse limitate sono una sfida costante per le piccole imprese
manifatturiere. Il pregiudizio di conferma può portare a
un’allocazione inefficiente dei budget di marketing, con conseguente
spreco di risorse e opportunità mancate.
- Investire in canali familiari: I manager potrebbero continuare a
investire in canali di marketing che hanno avuto successo in
passato, anche se non sono più efficaci.
- Eccessivo affidamento sulle reti personali: Le piccole imprese
manifatturiere spesso si affidano solamente alle reti personali e al
passaparola, senza esplorare alternative.
- Ignorare le informazioni basate sui dati: Nell’era digitale di
oggi, l’analisi dei dati fornisce informazioni preziose sul
comportamento dei clienti e sulle prestazioni di marketing.
Innovazione e adattamento ostacolati:
In un mercato in rapida evoluzione, l’innovazione e l’adattamento sono
cruciali per la sopravvivenza. Il pregiudizio di conferma può
soffocare questi processi critici.
- Resistenza alle nuove idee: I manager che sono fortemente legati
alle loro convinzioni possono essere resistenti alle nuove
idee o suggerimenti.
- Paura del cambiamento: Il pregiudizio di conferma può creare paura
del cambiamento.
- Creatività dei dipendenti soffocata: Quando i manager sono
resistenti alle nuove idee, la creatività e l’innovazione dei
dipendenti possono essere soffocate.
Combattere il pregiudizio di conferma:
Superare il pregiudizio di conferma è un processo continuo che
richiede uno sforzo consapevole e un impegno al pensiero critico. Ecco
alcune strategie che le piccole imprese manifatturiere possono
implementare:
- Adottare un processo decisionale basato sui dati: Fare affidamento
su dati oggettivi e analisi per informare le decisioni di marketing.
- Cercare prospettive diverse: Incoraggiare il feedback da una vasta
gamma di fonti.
- Condurre ricerche di mercato regolari: Rimanere informati sulle
tendenze emergenti, sulle preferenze dei clienti e sulle attività
della concorrenza.
- Sperimentare e iterare: Adottare una cultura di sperimentazione e
miglioramento continuo.
- Promuovere una cultura di comunicazione aperta: Incoraggiare una
comunicazione aperta e onesta all’interno dell’organizzazione.
- Implementare test ciechi: Quando possibile, condurre test ciechi
per valutare i materiali di marketing o le caratteristiche del
prodotto.
- Assumere consulenti esterni: Coinvolgere consulenti esterni con
esperienza in marketing e ricerca di mercato.
- Sviluppare capacità di pensiero critico: Investire in programmi di
formazione e sviluppo che si concentrano sul pensiero critico e
sulle capacità decisionali.
Riconoscendo la presenza del pregiudizio di conferma e lavorando
attivamente per mitigarne gli effetti, le piccole imprese
manifatturiere possono migliorare l’efficacia del loro marketing,
aumentare la loro competitività e raggiungere una crescita
sostenibile. In un mondo in continuo cambiamento, la capacità di
mettere in discussione le ipotesi e adattarsi alle nuove realtà non è
solo un vantaggio, ma una necessità.
Il nucleare in Italia: un'opportunità per il futuro energetico del paese
Il nucleare è tornato al centro del dibattito pubblico in Italia, e
non solo. La crescente domanda di energia, la necessità di
decarbonizzare il sistema produttivo e le sfide geopolitiche legate
alle fonti fossili hanno spinto molti Paesi a rivalutare questa fonte
di energia. Anche in Italia, dopo il referendum del 1987 che ne sancì
l’abbandono, si assiste a un crescente interesse per il nucleare,
alimentato da diverse realtà industriali e politiche.
Le ultime notizie:
A febbraio 2025, Confindustria ha organizzato un convegno a Roma per
rilanciare il rapporto sul nucleare dell’Agenzia Internazionale per
l’Energia (AIE). L’evento ha visto la partecipazione di importanti
figure del mondo industriale e politico, tra cui Aurelio Regina,
delegato del presidente di Confindustria per l’Energia, e Gilberto
Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
Durante il convegno, Aurelio Regina ha sottolineato l’importanza del
nucleare per la transizione energetica e per mantenere la
competitività dell’industria italiana. “Se vogliamo mantenere la
nostra vocazione industriale e procedere nel contempo nella
transizione energetica l’energia nucleare è un’opzione
ineludibile.”
Il Ministro Pichetto Fratin ha espresso un’apertura verso il nucleare,
affermando che “«Il disegno di legge delega sul nucleare è pronto e
andrà in un prossimo consiglio dei ministri, mi auguro che possa
essere approvato per l’autunno. Nel frattempo stiamo lavorando con il
ministero dell’Economia sul decreto bollette. È possibile che arrivino
insieme. Sulle coperture dobbiamo verificare con il ministero
dell’Economia, lo stanno facendo, vedremo nei prossimi giorni. Il mio
impegno è creare le condizioni per dare risposte alle esigenze del
paese”.
Il nucleare nel contesto europeo:
A livello europeo, il nucleare sta vivendo una fase di forte
sviluppo. La Commissione Europea ha incluso l’energia nucleare nella
Tassonomia verde, riconoscendone il ruolo nella lotta al cambiamento
climatico. Diversi Paesi europei, tra cui Francia e Svezia, stanno
investendo in nuove tecnologie nucleari, come i reattori modulari di
piccole dimensioni (SMR) e i reattori veloci.
Il Rapporto Draghi
Il Rapporto Draghi sulla competitività europea, pubblicato a settembre
2024, sottolinea l’importanza di un’energia a prezzi competitivi per
la crescita economica dell’Unione Europea. Il rapporto evidenzia come
il costo dell’energia in Europa sia significativamente più alto
rispetto ad altre regioni del mondo, come gli Stati Uniti e la
Cina. Questo gap di competitività è dovuto a diversi fattori, tra cui
la dipendenza dalle importazioni di gas naturale, l’esposizione ai
mercati spot e la volatilità dei prezzi. Il Rapporto Draghi non si
esprime esplicitamente a favore del nucleare, ma sottolinea la
necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico e
di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili.
I vantaggi del nucleare
L’energia nucleare offre diversi benefici rispetto ad altre fonti
energetiche. Dal punto di vista ambientale, le centrali nucleari si
distinguono per il loro basso impatto, in quanto non emettono gas
serra durante il funzionamento, contribuendo così attivamente alla
lotta contro il cambiamento climatico. Presentano inoltre un’elevata
efficienza energetica, essendo capaci di generare ingenti quantità di
elettricità utilizzando una quantità relativamente modesta di
combustibile. Un altro punto di forza è l’affidabilità: le centrali
possono operare ininterrottamente, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7,
assicurando una fornitura di energia costante e stabile. Infine, la
sicurezza è un aspetto fondamentale, con impianti progettati e gestiti
secondo rigorosi standard internazionali per minimizzare i rischi di
incidenti.
Le sfide del nucleare
Nonostante i vantaggi, l’adozione del nucleare comporta anche sfide
significative. I costi di costruzione di una centrale nucleare
sono notevoli e richiedono investimenti ingenti, oltre a tempi di
realizzazione lunghi. La gestione dei rifiuti radioattivi prodotti
rappresenta un’altra questione complessa, poiché le scorie necessitano
di essere trattate, stoccate e smaltite in condizioni di massima
sicurezza per periodi molto lunghi. Infine, l’accettazione sociale
del nucleare è spesso un ostacolo, con l’opinione pubblica
frequentemente divisa a causa di preoccupazioni legate alla sicurezza
degli impianti e all’impatto ambientale a lungo termine, specialmente
in relazione allo smaltimento delle scorie.
Il futuro del nucleare in Italia
Il futuro del nucleare in Italia è ancora incerto. Nonostante il
crescente interesse da parte di alcuni settori, l’opinione pubblica
rimane divisa e il quadro politico non è ancora del tutto favorevole a
un ritorno a questa fonte di energia. Tuttavia, le sfide energetiche e
ambientali che il Paese deve affrontare potrebbero spingere a
riconsiderare il ruolo del nucleare nel mix energetico nazionale.
L’Italia ha una lunga storia di ricerca e sviluppo nel settore
nucleare. Negli anni ‘60 e ‘70, il Paese ha costruito e gestito
diverse centrali nucleari, ma il referendum del 1987 ha portato alla
loro chiusura. Oggi, l’Italia partecipa a progetti di ricerca e
sviluppo in ambito nucleare a livello europeo e
internazionale.
Le nuove tecnologie nucleari, come gli SMR, offrono la possibilità di
costruire centrali più piccole, sicure ed economiche rispetto a quelle
tradizionali. Queste tecnologie potrebbero rappresentare una soluzione
per l’Italia, consentendo di produrre energia pulita e affidabile
senza i rischi e gli elevati costi di investimento delle centrali di
grandi dimensioni.
Conclusioni
Il nucleare è una fonte di energia controversa, ma che presenta
indubbi vantaggi in termini di decarbonizzazione, efficienza e
affidabilità. L’Italia, pur avendo abbandonato il nucleare nel 1987,
sta assistendo a un rinnovato interesse per questa fonte di energia,
alimentato dalle sfide energetiche e ambientali che il Paese deve
affrontare. Il futuro del nucleare in Italia dipenderà dalla capacità
di superare le sfide legate ai costi, alla gestione dei rifiuti e
all’accettazione sociale.
Un dibattito pubblico informato e trasparente sul tema è fondamentale
per superare le resistenze e le paure legate al nucleare. L’Italia ha
le competenze e le tecnologie per tornare a essere un Paese leader nel
settore nucleare, contribuendo alla transizione energetica e alla
crescita economica del Paese.
La gestione del personale di Henry Ford: aumento salariale e riduzione dell'orario di lavoro
Il sistema di produzione di massa di Henry Ford rivoluzionò
l’industria manifatturiera, ma il suo successo non dipese unicamente
dalla catena di montaggio. Un elemento meno discusso, ma altrettanto
vitale, fu il suo approccio radicale alla gestione del personale. Ford
riconobbe che anche i processi più efficienti sono inutili senza una
forza lavoro stabile e motivata. La sua soluzione: la giornata
lavorativa di 8 ore e il salario di 5 dollari.
Come descritto in “Invisible Advantage: How Intangibles are Driving
Business Performance”, l’industria manifatturiera soffriva di un
elevatissimo turnover del personale. Le fabbriche erano ambienti
difficili e i lavoratori, spesso nuovi alla vita industriale, si
dimettevano di frequente. Lo stabilimento Ford di Highland Park
registrava un tasso di turnover del 400%, richiedendo 54.000
assunzioni annuali per mantenere una forza lavoro di 13.000
persone. Questo continuo ricambio di personale interrompeva la
produzione e faceva lievitare i costi di formazione. La catena di
montaggio, pur aumentando la produzione, peggiorò il problema
intensificando l’insoddisfazione dei lavoratori.
Ford comprese che questo turnover insostenibile rappresentava un
grosso ostacolo. La sua soluzione del 1914 fu rivoluzionaria: una
giornata lavorativa di otto ore e un salario giornaliero di 5 dollari
– una cosa inaudita all’epoca. Questo audace investimento nel capitale
umano diede risultati spettacolari.
Il turnover crollò da oltre il 400% ad appena il 37%. Questa nuova
stabilità portò numerosi vantaggi. I costi di formazione
diminuirono poiché l’azienda non doveva più sostituire costantemente
i dipendenti. I lavoratori esperti divennero più competenti,
migliorando la qualità e l’efficienza. Soprattutto, una forza lavoro
stabile favorì cameratismo e orgoglio, aumentando il morale e
la produttività.
Il salario di 5 dollari non mirava solo a ridurre il turnover, ma
anche ad attrarre e trattenere i migliori talenti. La generosa
retribuzione di Ford attirò lavoratori qualificati, creando una
forza lavoro altamente motivata e capace. Ciò alimentò la
crescita, con i profitti che raddoppiarono da 30 a 60 milioni di
dollari tra il 1914 e il 1916. L’aumento dell’efficienza e della
produttività permise a Ford di soddisfare la crescente domanda della
Model T, consolidando il suo dominio sul mercato.
La strategia di Ford incentrata sul capitale umano dimostra un
principio fondamentale: investire nella forza lavoro non è solo un
costo, è un investimento vitale con ritorni sostanziali. Affrontando
le cause profonde del turnover – condizioni difficili e bassi salari –
Ford sbloccò il vero potenziale della produzione di massa. Dimostrò
che una forza lavoro motivata e ben retribuita è cruciale per
l’eccellenza operativa e la crescita. La sua rivoluzione dei 5 dollari
non fu solo un atto di beneficenza; fu un imperativo strategico che
trasformò l’industria automobilistica e rimane una potente lezione per
le aziende di oggi.
Il fattore umano: una chiave per sbloccare il potenziale dell'industria edile
L’industria edile si trova sull’orlo di una trasformazione epocale. Un
boom di costruzioni, alimentato dall’urbanizzazione e dalla sete di
infrastrutture moderne, promette di ridisegnare il nostro
mondo. McKinsey stima che la spesa globale per le costruzioni potrebbe
raggiungere la cifra record di 22.000 miliardi di dollari entro
il 2040. Ma c’è un paradosso: mentre l’industria si prepara a
crescere, deve affrontare una sfida cruciale: la bassa produttività e
la carenza di manodopera.
Immaginate un cantiere edile come un’orchestra. Ogni lavoratore è uno
strumento, ogni progetto una sinfonia. Ma cosa succede se alcuni
strumenti sono stonati o mancano del tutto? L’armonia si spezza, la
melodia perde il suo incanto.
Un recente rapporto McKinsey, “Delivering on construction productivity is
no longer optional,”, mette in luce le sfide che
ostacolano la crescita: tecnologie obsolete, difficoltà nel migliorare
i processi e progetti complessi. Ma a mio avviso, il problema
principale è un altro: il fattore umano.
Il segreto di un’orchestra armoniosa: lavoratori felici
La produttività non è solo una questione di numeri e processi. È una
questione di persone. Lavoratori felici sono come strumenti ben
accordati: danno il meglio di sé, creano sinfonie di successo. Sono
più coinvolti, più produttivi e meno inclini a cambiare orchestra. In
un settore che fatica a trovare nuovi talenti, investire nella
soddisfazione dei lavoratori non è un optional, è una necessità.
Il potere della soddisfazione: quando l’orchestra brilla
Numerosi studi dimostrano che la soddisfazione dei lavoratori è il
motore della produttività (per citarne alcuni: Gallup, Oxford
University’s Saïd Business School e Management Science). Un
team affiatato è come un’orchestra che suona all’unisono:
- Meno Incidenti: Quando i lavoratori si sentono valorizzati, sono
più attenti e rispettano le regole di sicurezza.
- Qualità Superiore: Lavoratori coinvolti sono orgogliosi del loro
lavoro e costruiscono con passione.
- Meno Rilavorazioni: Un team soddisfatto è come un’orchestra che
prova e riprova: riduce al minimo gli errori e i costi.
Perché la Soddisfazione è Fondamentale: Il Futuro dell’Orchestra
L’industria edile deve affrontare una crisi di talenti. La forza
lavoro invecchia e le nuove generazioni non sono attratte da un
settore che spesso viene percepito come duro e poco gratificante. Per
questo, è fondamentale investire nel benessere dei lavoratori.
Due Strategie per un’Orchestra di Successo
- Investire in Formazione e Sviluppo: Un’orchestra che cresce è
un’orchestra che investe nei suoi strumenti. La formazione continua
migliora le competenze, aumenta la fiducia e dimostra che l’azienda
crede nel potenziale dei suoi dipendenti.
- Implementare Incentivi e Ricompense: Un direttore d’orchestra
che sa riconoscere il talento, sa anche premiare i suoi
musicisti. Bonus, premi e riconoscimenti pubblici sono un modo per
celebrare i successi e incentivare l’impegno.
Un Appello all’Azione: Scriviamo insieme la Sinfonia del Successo
L’industria edile ha bisogno di un cambio di paradigma. Dobbiamo
mettere al centro il fattore umano, valorizzare i nostri lavoratori,
investire nel loro futuro. Solo così potremo costruire un’industria
più produttiva, innovativa e sostenibile. Un’industria dove ogni
lavoratore si senta parte di un’orchestra di successo, un’orchestra
che suona la sinfonia del futuro.
Intelligenza Artificiale e Cybersecurity: una diagnostica
Questo documento analizza le sinergie e le sfide che emergono
dall’integrazione dell’Intelligenza Artificiale in azienda,
utilizzando uno studio di caso ispirato al white paper del World
Economic Forum, “Artificial Intelligence and Cybersecurity: Balancing
Risks and Rewards” (disponibile
qui). Presentiamo un’analisi della cybersecurity in un contesto
di adozione di tecnologie di IA per “Bellini Composites,” un’azienda
manifatturiera italiana a conduzione familiare, e presentiamo un
dialogo pragmatico tra l’azienda, il padre del suo fondatore (esperto
di tecnologia ma scettico sulla cybersecurity) e un consulente di
sicurezza informatica.
Bellini Composites: Uno studio di caso
Bellini Composites, un’azienda di 30 dipendenti situata nelle Alpi
italiane, è specializzata in materiali compositi ad alte prestazioni
per produttori di motociclette di lusso e racing teams. Fondata 25
anni fa da Paolo Bellini, l’azienda è orgogliosa dei rapporti
resistenza-peso dei componenti prodotti e della versatilità
applicativa dei componenti in fibra di carbonio. Con un fatturato
annuo di 5 milioni di euro e un margine operativo del 15%, Bellini
Composites reinveste significativamente in R&S, il suo punto di forza.
Il team di R&D di sei persone, composto da ingegneri altamente
qualificati, esplora costantemente nuove formulazioni di resine,
intrecci di fibre e processi di produzione. Pur essendo dotata di
moderne macchine CNC e software CAD/CAM, Bellini Composites non ha
ancora implementato soluzioni di IA per l’ottimizzazione dei processi,
come la manutenzione predittiva. Pur essendo consapevoli del
potenziale dell’IA, l’azienda nutre preoccupazioni riguardo alle
implicazioni per la sicurezza informatica.
La valutazione e la discussione
Le sezioni seguenti descrivono in dettaglio la valutazione di
sicurezza informatica dell’IA, comprese le domande poste, le risposte
di Bellini Composites, le reazioni scettiche e i commenti
del consulente esperto di sicurezza informatica.
1. Tolleranza al rischio
È stata stabilita l’adeguata propensione al rischio per l’IA ed è compresa da tutti?
Risposta di Bellini Composites:
“Abbiamo discusso della propensione al rischio a livello
dirigenziale, concentrandoci sui tempi di inattività della
produzione e sulla protezione delle nostre formule composite
proprietarie. Siamo molto avversi al rischio per quanto riguarda gli
interruzioni della produzione, poiché i ritardi possono influire sui
nostri programmi di consegna e potenzialmente portare alla perdita
di contratti. Siamo anche estremamente protettivi nei confronti dei
nostri risultati di R&D. Questa propensione al rischio è
formalizzata nella nostra politica generale di gestione del rischio,
ma non abbiamo considerato specificamente i rischi relativi
all’IA. Abbiamo bisogno di un workshop con Paolo (CEO), Marco
(Responsabile della produzione), Elena (Responsabile della R&D) e il
nostro consulente IT esterno per definire soglie di rischio
accettabili per ciascun potenziale progetto di IA. Ad esempio, quale
livello di condivisione dei dati è accettabile durante
l’addestramento dell’IA per l’ottimizzazione dei materiali? Questo
deve essere documentato.”
Critica:
“Propensione al rischio? Bah! Abbiamo sempre corso rischi
calcolati. Dobbiamo concentrarci sull’avvio di questi progetti di IA
per aumentare la produzione. Tutte queste chiacchiere sulla
valutazione del rischio ci stanno rallentando.”
Risposta del consulente:
“Capisco il vostro desiderio di velocità. Tuttavia, trascurare la
valutazione del rischio è come guidare un’auto da corsa senza
freni. Un attacco ransomware mirato che sfrutti una vulnerabilità
dell’IA potrebbe interrompere la produzione per settimane, costando
molto più di qualsiasi guadagno a breve termine. Una corretta
valutazione del rischio identifica specifiche vulnerabilità
dell’IA, consentendoci di dare priorità alle misure di sicurezza in
modo efficace. Non si tratta di rallentare; si tratta di garantire
una crescita a lungo termine.”
2. Rischio contro ricompensa
I rischi sono proporzionati alle ricompense quando vengono considerati nuovi progetti di IA?
Risposta di Bellini Composites:
“Attualmente eseguiamo un’analisi costi-benefici di base. Ad
esempio, sappiamo che la manutenzione predittiva sulla nostra
autoclave specializzata potrebbe ridurre al minimo i tempi di
inattività, ma ci preoccupa che l’IA possa interpretare male i dati
dei sensori. Tuttavia, questo è informale. Abbiamo bisogno di un
framework di valutazione del rischio/beneficio per i progetti di IA, inclusi
fattori quantificabili come il costo dei tempi di inattività, il
potenziale guadagno in efficienza dei materiali, il rischio di furto
di proprietà intellettuale e il costo del sistema di IA.”
Critica:
“La ricompensa è ovvia: maggiore efficienza, materiali migliori,
maggiori profitti! I rischi? Chiacchiere sulle violazioni dei
dati. Siamo andati bene per 25 anni; perché preoccuparsi ora?”
Risposta del consulente:
“Sebbene le ricompense siano significative, ignorare i rischi è
miope. Gli attacchi informatici sono in aumento e i produttori sono
presi di mira. Un attacco malevolo potrebbe compromettere
l’integrità dell’algoritmo di ottimizzazione dei materiali, con
conseguenti danni alla reputazione e perdite economiche. Un’analisi
strutturata rischio/beneficio quantifica questi rischi, dimostrando
che l’investimento in sicurezza è una polizza assicurativa.”
3. Processo di governance
Esiste un processo efficace per governare e tenere traccia dell’implementazione dei progetti di IA?
Risposta di Bellini Composites:
“Le iniziative di IA sono attualmente gestite ad hoc. Abbiamo
bisogno di un “Comitato direttivo per l’IA” con Paolo, Marco, Elena
e il nostro consulente IT per approvare i progetti di IA, definire i
protocolli di accesso ai dati, monitorare i progressi e applicare i
protocolli di sicurezza.”
Critica:
“Governance? Burocrazia! Siamo una piccola azienda agile. Un
‘Comitato direttivo per l’IA’ sembra un’eccessiva formalità.”
Risposta del consulente:
“L’agilità è importante, ma una governance centralizzata dell’IA è
essenziale. Senza di essa, si rischiano sistemi incompatibili e
lacune di sicurezza. Il Comitato direttivo per l’IA fornisce una
supervisione strategica, garantendo che i progetti di IA siano
allineati agli obiettivi aziendali e che gli standard di sicurezza
siano coerenti. Questo, a lungo termine, semplifica il processo.”
4. Vulnerabilità e rischi
C’è una chiara comprensione delle vulnerabilità specifiche dell’organizzazione e dei rischi informatici relativi all’uso o all’adozione di tecnologie di IA?
Risposta di Bellini Composites:
“Siamo generalmente consapevoli dei rischi di sicurezza informatica,
ma non abbiamo considerato le vulnerabilità specifiche
dell’IA. Siamo preoccupati per gli attacchi di corruzione dei dati
sul nostro database dei materiali. Abbiamo bisogno di una
valutazione dedicata del rischio dell’IA, compresi test di
penetrazione, analisi delle vulnerabilità e analisi delle
possibili modalità di attacco. Dovremmo anche considerare il
rischio di bias negli algoritmi di IA.”
Critica:
“Vulnerabilità? Abbiamo firewall e software antivirus. Questo è
sufficiente, no?”
Risposta del consulente:
“Le misure tradizionali sono un buon inizio, ma l’IA introduce
vulnerabilità uniche. I modelli di IA sono suscettibili
alla corruzione dei dati e agli attacchi avversari. Una
valutazione dedicata del rischio dell’IA è fondamentale per
identificare queste vulnerabilità e implementare misure di
salvaguardia. È un sistema complesso con le sue sfide di sicurezza.”
5. Coinvolgimento delle parti interessate
C’è chiarezza su quali parti interessate devono essere coinvolte nella valutazione e mitigazione dei rischi informatici dell’adozione dell’IA?
Risposta di Bellini Composites:
“IT, R&S e Produzione sono ovviamente coinvolti. L’ufficio legale
deve essere coinvolto per la conformità al GDPR. Non abbiamo
considerato le risorse umane, ma potrebbero dover essere coinvolte
se l’IA cambia i ruoli lavorativi. Abbiamo bisogno di individuare
gli stakeholder e relativi ruoli e responsabilità.”
Critica:
“Parti interessate? IT, R&S, Produzione: sono loro che devono essere
coinvolti. Perché coinvolgere le risorse umane o l’ufficio legale?”
Risposta del consulente:
“Ignorare le parti interessate può creare punti ciechi. L’ufficio
legale garantisce la conformità al GDPR. Le risorse umane si
occupano dei potenziali cambiamenti di lavoro. Un’analisi completa
delle parti interessate garantisce che tutti gli aspetti
dell’adozione dell’IA siano affrontati.”
6. Processi di garanzia
Esistono processi di garanzia per garantire che le implementazioni dell’IA siano coerenti con le politiche organizzative più ampie dell’organizzazione e gli obblighi legali e normativi?
Risposta di Bellini Composites:
“Abbiamo un processo di controllo qualità standard, ma niente di
specifico per l’IA. Abbiamo bisogno di test e validazione specifici
per i modelli di IA, inclusi valutazione della robustezza,
individuazione di bias e analisi dell’interpretabilità. Anche il
monitoraggio continuo è cruciale.”
Critica:
“Processi di garanzia? Testiamo accuratamente i nostri prodotti. Non
è sufficiente?”
Risposta del consulente:
“I test tradizionali sono essenziali, ma l’IA richiede processi di
garanzia specializzati. I modelli di IA sono complessi e il loro
comportamento può essere imprevedibile. Abbiamo bisogno di procedure
di test specifiche, inclusi test di robustezza, rilevamento della
distorsione e analisi di spiegabilità. Il monitoraggio continuo
garantisce affidabilità e sicurezza.”
Unione Europea: l'"AI Act"
Il Regolamento Europeo sull’Intelligenza Artificiale (AI Act) è la
prima legge completa al mondo per la regolamentazione
dell’intelligenza artificiale nell’UE. Progettato per favorire
l’innovazione garantendo che l’IA sia sicura, equa e trasparente,
il regolamento protegge gli utenti da applicazioni dannose dell’IA,
offrendo al contempo vantaggi come il miglioramento dell’assistenza
sanitaria e il trasporto sostenibile.
Un approccio basato sul rischio per un’IA affidabile
L’AI Act classifica i sistemi di intelligenza artificiale in base ai
loro potenziali rischi—inaccettabile, alto, limitato e minimo—con
obblighi corrispondenti.
- IA ad alto rischio (es. sanità, trasporti) deve rispettare
rigorose misure di trasparenza, sicurezza e supervisione umana.
- Applicazioni di IA vietate, come l’identificazione biometrica in
tempo reale negli spazi pubblici, riflettono l’impegno dell’UE verso
un’IA etica.
Promuovere l’innovazione con le sandboxes regolatorie
Per bilanciare regolamentazione e innovazione, il regolamento
introduce le sandboxes regolatorie, che permettono alle
aziende—soprattutto start-up e PMI—di testare i sistemi di IA in
ambienti controllati. Ciò consente alle imprese di perfezionare i loro
modelli garantendo al contempo la conformità normativa, favorendo un
ecosistema di IA affidabile che incoraggi lo sviluppo
responsabile.
Trasparenza per i modelli di IA generale
Il regolamento si applica anche ai modelli di IA generica, come
chatbot e generatori di immagini. Questi modelli devono chiaramente
dichiarare i contenuti generati dall’IA, rispettare le leggi sul
copyright e garantire trasparenza nelle loro operazioni,
affinché gli utenti possano fidarsi delle interazioni basate sull’IA.
Tempistiche di attuazione
L’AI Act dell’UE è stato ufficialmente pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale dell’UE il 12 luglio 2024, segnando una pietra miliare
nella governance dell’IA. Entrerà in vigore il 1° agosto 2024, con
applicazione completa a partire dal 2 agosto 2026. Tuttavia,
alcune disposizioni specifiche, indicate nell’Articolo 113,
saranno attuate in anticipo.
Cosa significa per le aziende
Per le aziende che operano nell’UE o vi forniscono servizi, la
conformità all’AI Act garantisce fiducia dei consumatori, certezza
normativa e un vantaggio competitivo in un panorama dell’IA in
continua evoluzione. Allineandosi ai principi etici dell’IA, le
imprese possono rispettare la normativa senza rinunciare
all’innovazione.
L’approccio dell’UE stabilisce un nuovo standard globale per la
governance dell’IA, bilanciando progresso e protezione degli utenti
per garantire che l’IA lavori a beneficio delle persone, non contro
di loro.
TEHA (The European House - Ambrosetti) e Chiomenti: Family Business Sustainability Summit
Le aziende familiari, che rappresentano l’81% del tessuto
imprenditoriale italiano e generano il 68% del PIL, si distinguono per
la loro resilienza finanziaria e capacità di crescita (+8,9% tra il
2010 e il 2022). Tuttavia, devono affrontare sfide importanti legate a
un divario di produttività (-18% rispetto alle imprese non familiari),
una minore propensione all’innovazione e ritardi nella transizione
sostenibile.
Le imprese familiari italiane: opportunità e sfide per affrontare la transizione sostenibile e digitale
Il Family Business Sustainability Summit, svoltosi presso Palazzo
di Varignana il 21-22 gennaio 2025, ha messo in luce le sfide che le
aziende familiari italiane devono affrontare per allinearsi agli
standard europei di sostenibilità e innovazione. Secondo il rapporto
“Radici nel futuro” presentato durante l’evento, solo il 9,2% di
queste imprese pubblica un bilancio di sostenibilità, mentre molte
trovano difficile conformarsi a normative come la Corporate
Sustainability Reporting Directive. Questo limita la loro capacità di
competere e rende necessario un approccio strategico per garantire il
successo a lungo termine.
Perché rivolgersi a un consulente esterno?
Le aziende familiari, pur essendo un pilastro dell’economia italiana,
spesso non dispongono delle risorse necessarie per affrontare
investimenti strategici di lungo termine. Come evidenziato da
Massimiliano Nitti, partner Chiomenti , questa mancanza di risorse
manageriali ed economiche può limitare la crescita, rendendo difficile
superare le transizioni generazionali e obbligando molte imprese a
cedere il controllo a fondi esteri. Per le micro e piccole imprese, il
problema è accentuato dalla difficoltà di destinare risorse a
obiettivi come sostenibilità e innovazione, rimanendo concentrate sul
prodotto.
In questo contesto, affidarsi a un consulente esterno può essere
un’opportunità cruciale. Un esperto può aiutare le aziende a
sviluppare strategie personalizzate per affrontare le sfide della
transizione sostenibile e digitale, migliorare la produttività e
ottimizzare l’accesso al capitale. Inoltre, il supporto professionale
può agevolare la gestione del passaggio generazionale, garantendo
continuità e competitività sul mercato. Una consulenza mirata consente
alle imprese familiari di preservare il loro patrimonio economico e
sociale, affrontando con successo le sfide di un panorama economico in
continua evoluzione.
'Humphrey': un set di strumenti di Intelligenza Artificiale in sviluppo per i lavoratori della pubblica amministrazione britannica
Il governo del Regno Unito ha recentemente annunciato un piano
ambizioso per utilizzare l’IA per modernizzare i servizi
pubblici. Stanno creando una serie di strumenti di intelligenza
artificiale chiamati “Humphrey” che aiuteranno i funzionari a lavorare
in modo più rapido ed efficiente.
Ad esempio, uno strumento chiamato “Consult” analizzerà le risposte
dei cittadini alle consultazioni pubbliche, consentendo al governo di
comprendere meglio le opinioni del pubblico. Un altro strumento,
chiamato “Minute”, creerà automaticamente riassunti delle riunioni,
liberando tempo ai funzionari per concentrarsi su attività più
importanti.
Come può una piccola impresa trarre vantaggio dall’IA?
Anche se potrebbe non avere le stesse risorse del governo del Regno
Unito, la vostra piccola impresa di ricerche di mercato può comunque
trarre vantaggio dall’IA. Man mano che la tecnologia diventa più
accessibile, inizieremo a vedere un numero crescente di strumenti di
intelligenza artificiale convenienti e facili da usare che possono
essere utilizzati dalle piccole imprese. Ad esempio, potreste
utilizzare l’IA per analizzare grandi set di dati di mercato per
individuare tendenze che potreste non aver notato altrimenti. Oppure
potreste utilizzare l’IA per automatizzare compiti ripetitivi come la
trascrizione di interviste o la codifica dei dati.
Consulenza esterna per sfruttare l’IA
L’IA è un campo in rapida evoluzione, e può essere difficile stare al
passo con gli ultimi sviluppi. Se siete interessati a utilizzare l’IA
nella vostra azienda, potrebbe essere utile consultare un esperto. Un
consulente di IA può aiutarvi a identificare gli strumenti di IA
giusti per le vostre esigenze e può aiutarvi a implementare queste
tecnologie nella vostra azienda.
L’intelligenza artificiale ha il potenziale di trasformare il modo in
cui operano le imprese, e le piccole imprese del Regno Unito sono ben
posizionate per trarre vantaggio da questa tecnologia. Con un po’ di
pianificazione e lungimiranza, potete utilizzare l’IA per
automatizzare i processi, migliorare l’efficienza e ottenere un
vantaggio competitivo.
Global Cybersecurity Outlook 2025 del World Economic Forum
Il Global Cybersecurity Outlook
2025,
pubblicato dal World Economic Forum in collaborazione con Accenture,
evidenzia un divario sempre più ampio nella resilienza informatica tra
PMI e grandi organizzazioni.
- Solo il 14% delle organizzazioni si dichiara sicuro di disporre
delle competenze e delle risorse necessarie per affrontare
efficacemente le sfide della cybersecurity.
- Molte PMI non dispongono delle risorse per una cybersecurity
robusta, affidandosi spesso a strumenti di base che le rendono
particolarmente vulnerabili, soprattutto all’interno delle catene
di approvvigionamento interconnesse.
- Sebbene il 78% dei leader del settore privato ritenga che le
normative su cyber e privacy aiutino a ridurre i rischi, il 69% le
trova troppo complesse o difficili da applicare, soprattutto per
quanto riguarda la conformità dei fornitori terzi.
Le PMI affrontano tre sfide principali nel raggiungere la resilienza
informatica. Il panorama delle minacce si sta evolvendo rapidamente,
richiedendo un livello di adattabilità che molte PMI faticano a
raggiungere. Inoltre, la carenza di competenze lascia le
organizzazioni prive del talento necessario per gestire
efficacemente questi rischi. Infine, la mancanza di preparazione
nella risposta agli incidenti rende le PMI particolarmente
vulnerabili in caso di violazioni, ampliando ulteriormente il divario
con le grandi aziende.
Il divario nella resilienza informatica tra piccole e grandi
organizzazioni continua a crescere. Il 35% delle piccole
organizzazioni dichiara di avere una resilienza informatica
insufficiente, un aumento di sette volte rispetto al 2022. Al
contrario, le grandi organizzazioni hanno fatto progressi
significativi, dimezzando i rapporti di resilienza
insufficiente. Questo divario ha raggiunto un punto critico, con
il 71% dei leader della cybersecurity che concordano sul fatto che le
PMI siano sempre meno in grado di proteggersi da rischi crescenti. Le
organizzazioni più grandi, più propense a implementare misure avanzate
come le salvaguardie basate sull’IA, sono incoraggiate a supportare
le PMI per rafforzare la resilienza dell’intero ecosistema.
Adozione di misure di cybersecurity
Le PMI spesso non dispongono delle risorse necessarie per costruire
un’infrastruttura di cybersecurity robusta, rimanendo dipendenti da
strumenti e pratiche elementari ed insufficienti. Questa dipendenza aumenta
significativamente la loro vulnerabilità, soprattutto nelle catene
di approvvigionamento interconnesse, dove gli attacchi a entità più
piccole possono propagarsi in tutto l’ecosistema.
Implementazione dell’IA
Sebbene il 66% delle organizzazioni riconosca il potenziale
trasformativo dell’IA nella cybersecurity, solo il 37% ha implementato
processi per valutare la sicurezza degli strumenti IA prima del loro
utilizzo. Per le PMI, la sfida è ancora maggiore: il 69% manca delle
salvaguardie necessarie per un’implementazione sicura
dell’IA. Questo divario espone le piccole organizzazioni a rischi
più elevati derivanti da modelli IA insicuri.
Vulnerabilità nelle catene di approvvigionamento
Le PMI spesso sono anelli critici nelle catene di approvvigionamento
più grandi ma generalmente mancano della maturità necessaria per
affrontare i rischi insiti in tali interdipendenze. Le principali
vulnerabilità includono difetti software introdotti da terzi e la
possibilità che attacchi informatici si propagano in tutto
l’ecosistema. Queste debolezze non solo minacciano le PMI, ma mettono
a rischio anche le reti più ampie di cui fanno parte.
Disparità nelle risorse per la cybersecurity
Dal 2024, il divario di competenze informatiche è aumentato dell'8%,
lasciando due terzi delle organizzazioni con carenze moderate o
critiche di personale qualificato. Solo il 14% delle organizzazioni si
dichiara sicuro delle proprie pratiche di cybersecurity. Le PMI, in
particolare, affrontano difficoltà legate a risorse finanziarie,
infrastrutture e accesso a professionisti qualificati, rendendo
arduo costruire una solida base di sicurezza. Questa disparità di
risorse e forza lavoro colpisce in modo sproporzionato le PMI,
ostacolando la loro capacità di rispondere efficacemente alle minacce
emergenti.
Requisiti normativi
Sebbene il 78% dei leader del settore privato concordi sul fatto che
le normative su cyber e privacy riducano efficacemente i rischi, il
69% segnala che queste normative sono troppo complesse o difficili
da attuare. La verifica della conformità dei fornitori terzi è
un’altra sfida comune. La Direttiva NIS2 dell’Unione
Europea
mira a risolvere queste problematiche aumentando gli standard di
cybersecurity, richiedendo reportistica avanzata sugli incidenti, una
maggiore supervisione delle catene di approvvigionamento e una
maggiore responsabilità per i consigli di amministrazione. Tuttavia,
per le PMI, navigare in queste complessità normative rimane un
ostacolo significativo.
Guidare l'innovazione nell'agribusiness: un percorso di innovazione utilizzando il modello in 8 fasi di Kotter

L’innovazione e l’adattabilità sono fondamentali per le aziende che
desiderano prosperare nell’attuale panorama competitivo
dell’agribusiness. In questo post, esploreremo come una azienda
agricola nel Nord Italia possa abbracciare un cambiamento
trasformativo automatizzando i processi di irrorazione di pesticidi e
raccolta utilizzando il modello in 8 fasi per il cambiamento di Kotter
(Kotter, J.P., 1996).
Questo percorso guiderà il percorso dell’azienda verso l’efficienza,
la redditività e la sostenibilità. Sebbene presenti uno scenario
ideale, è importante riconoscere che l’implementazione potrebbe
affrontare numerose sfide e deviazioni inattese. Questi passaggi sono
progettati per fornire linee guida, stimolare idee e fungere da punto
di riferimento per strutturare un piano ben organizzato, aiutando a
navigare efficacemente attraverso gli ostacoli.
Fase 1: creare un senso di urgenza
L’azienda deve ispirare i suoi stakeholder ad agire con passione e
determinazione per cogliere l’opportunità di innovare. È importante
evidenziare le inefficienze attuali nell’irrorazione manuale dei
pesticidi e nella raccolta, come l’elevato costo del lavoro, la scarsa
scalabilità e il rischio di errore umano. Condividere dati convincenti
su come l’automazione possa:
- Ridurre i costi ottimizzando l’uso delle risorse.
- Migliorare la sicurezza dei lavoratori riducendo l’esposizione ai
pesticidi.
- Aumentare la produttività, consentendo alla fattoria di competere
in un mercato in crescita.
Attenzione
È importante affrontare le preoccupazioni dei lavoratori che
potrebbero vedere l’automazione come una minaccia per il loro
impiego. Sottolineare che l’automazione non sostituirà i posti di
lavoro, ma li trasformerà, creando nuove opportunità per i
dipendenti in ruoli come la gestione della tecnologia, il
monitoraggio dei sistemi e la manutenzione. Offrire rassicurazioni
su programmi di aggiornamento professionale che consentano ai
lavoratori di crescere insieme agli avanzamenti tecnologici.
Organizzare workshop e presentazioni per dipendenti e stakeholder per
comunicare l’importanza di questi cambiamenti e i rischi del
mantenimento dello status quo.
Fase 2: costruire una coalizione
Formare una coalizione di individui chiave appassionati del futuro
della fattoria. Questo gruppo dovrebbe includere:
- Managers: Per fornire leadership e supervisione.
- Consulenti tecnici: Per guidare la selezione e
l’implementazione delle tecnologie IoT e robotiche.
- Dipendenti chiave: Per offrire approfondimenti pratici e
rappresentare la forza lavoro.
- Partner esterni: Fornitori di tecnologia e consulenti.
Autorizzare questa coalizione a guidare, coordinare e comunicare
efficacemente l’iniziativa di cambiamento.
Articolare una visione chiara per il futuro della fattoria:
- Dichiarazione della Visione: “Migliorare l’efficienza
operativa e mantenere la competitività nel settore agribusiness
sfruttando tecnologie avanzate di automazione e IoT.”
- Strategie: - Implementare sistemi robotici per l’irrorazione
dei pesticidi per garantire precisione e ridurre gli sprechi.
- Adottare macchine di raccolta automatizzate per migliorare
l’efficienza e ridurre i costi del lavoro.
- Utilizzare una rete IoT basata su SaaS per monitorare e
ottimizzare le operazioni senza interruzioni.
Fase 4: mobilitare un esercito di volontari
Il cambiamento su larga scala richiede un supporto diffuso. Creare
entusiasmo tra i dipendenti e gli stakeholder attraverso:
- Condivisione di casi di successo di altre fattorie che hanno
automatizzato con successo processi simili.
- Offrire sessioni di formazione per consentire ai lavoratori di
comprendere e abbracciare le nuove tecnologie.
- Incoraggiare una comunicazione trasparente per affrontare
preoccupazioni e raccogliere feedback.
Fornire un senso di scopo collettivo e mostrare come gli sforzi di
tutti contribuiscano al successo a lungo termine della fattoria.
Fase 5: rimuovere le barriere per facilitare l’implementazione
Identificare e affrontare potenziali ostacoli al progresso:
- Barriere Finanziarie: Garantire finanziamenti attraverso
sovvenzioni, prestiti o partnership con fornitori di tecnologia.
- Resistenza al Cambiamento: Offrire una formazione completa e
dimostrare i benefici dell’automazione ai dipendenti esitanti.
- Sfide Tecniche: Collaborare strettamente con fornitori SaaS
per garantire che le attrezzature siano portatili, facili da
installare e intuitive.
Snellire i processi decisionali e fornire risorse per superare
efficacemente queste sfide.
Fase 6: generare vittorie nel breve termine
Celebrare i successi iniziali per costruire slancio:
- Traguardo 1: Implementare con successo il sistema robotico di irrorazione dei pesticidi su base sperimentale e misurare il suo impatto sull’efficienza e sui costi.
- Traguardo 2: Distribuire macchine di raccolta automatizzate in una piccola area della fattoria e mostrare i risultati agli stakeholder.
Pubblicizzare queste vittorie attraverso riunioni, newsletter e social media per energizzare e motivare il team.
Fase 7: mantenere l’accelerazione
Sfruttare i successi iniziali per spingere verso cambiamenti più ampi:
- Espandere l’automazione a tutti i siti e aree di produzione.
- Valutare e aggiornare continuamente la rete IoT e i sistemi robotici.
- Utilizzare il tempo e i risparmi economici per investire in
progetti di R&D, come l’esplorazione di metodi alternativi di
controllo dei parassiti e lo sviluppo di sistemi di protezione
contro il gelo durante la fioritura.
Incoraggiare un feedback continuo e iterazioni per mantenere lo slancio.
Fase 8: istituzionalizzare il cambiamento
Incorporare le nuove pratiche nella cultura della fattoria:
- Documentare i processi e i risultati per creare un manuale operativo per le future innovazioni.
- Valutare regolarmente l’impatto dell’automazione sull’efficienza e sulla redditività.
- Riconoscere e premiare i dipendenti che sostengono i cambiamenti.
Rafforzare la connessione tra questi nuovi comportamenti e il successo
della fattoria, assicurandosi che diventino parte integrante delle
operazioni quotidiane.
Approfondimento aggiuntivo
Per una trasformazione di successo, leadership e gestione devono
collaborare efficacemente. È fondamentale evitare di concentrarsi
esclusivamente sui successi iniziali e invece portare il progetto a
compimento (Kotter, J.P., 1996, p.129):
Buona leadership, cattiva gestione
La trasformazione iniziale può avere successo, ma vacilla quando i risultati a breve termine diventano inconsistenti.
Cattiva leadership, buona gestione
I guadagni a breve termine sono possibili, spesso attraverso miglioramenti operativi come il taglio dei costi o acquisizioni, ma il cambiamento sostenibile e a lungo termine è raramente raggiunto.
Cattiva leadership, cattiva gestione
Nessun progresso o direzione.
Buona leadership, buona gestione
La più alta probabilità di ottenere un successo duraturo.
Conclusione
Seguendo le 8 fasi di Kotter, questa fattoria può stabilire un piano
per trasformare le sue operazioni, stabilendo un punto di riferimento
per l’innovazione nel settore agribusiness. Con una visione chiara,
uno sforzo collaborativo e un’esecuzione strategica, la fattoria può
raggiungere i suoi obiettivi di efficienza, redditività e
sostenibilità.
Mindsait - Intelligenza Artificiale in Italia. La rivoluzione che sta cambiando il business
La ricerca “Intelligenza Artificiale in Italia – La rivoluzione che
sta cambiando il
business”
analizza il grado di adozione delle nuove tecnologie da parte delle
aziende italiane, fornendo un quadro approfondito delle motivazioni
che spingono a investire nel settore, degli ostacoli che ne frenano
una più ampia diffusione, nonché delle principali aree in cui l’AI sta
già contribuendo al loro business.
L’indagine raccoglie i dati di 502
organizzazioni italiane, tratti da questionari online somministrati ai
responsabili della digitalizzazione e della tecnologia, e si inserisce
in una più ampia analisi condotta su oltre 900 aziende globali in 15
settori, arricchita da interviste a manager esperti di IA.
Scarsa adozione dell’IA e difficoltà nell’individuare casi d’uso
Il 48% delle aziende italiane non ha ancora avviato progetti basati
sull’Intelligenza Artificiale. Anche tra chi ha mosso i primi passi in
questo campo, solo il 36% dichiara di aver attivato almeno dieci casi
d’uso. Uno dei principali freni sembra essere la difficoltà a
riconoscere gli ambiti di applicazione realmente vantaggiosi per il
proprio business, ostacolo che rallenta ulteriormente la diffusione
dell’IA su vasta scala.
Organizziamo un workshop per individuare i tuoi casi studio
Uno sguardo ai principali dati del Rapporto
Piano strategico IA: Solo il 22% delle organizzazioni italiane ha
definito un piano di IA allineato a quello aziendale complessivo.
Visione come barriera: Solo il 9% delle imprese attribuisce la
mancata adozione dell’IA a una carenza di visione.
Fattori trainanti: Il 25% ritiene l’efficienza dei processi la
motivazione principale, mentre il 20% mira a migliorare i servizi e
l’esperienza del cliente.
MLOps e LLMOps: Soltanto il 3% delle aziende ha già definito e
implementato con successo queste metodologie per la gestione del ciclo
di vita dei progetti di IA.
Infrastruttura inadeguata: Il 65% delle organizzazioni italiane
non dispone di un’infrastruttura sufficiente ad abilitare o potenziare
l’uso dell’IA.
Quadro normativo: Il 13% delle aziende segnala l’instabilità
normativa come un ostacolo significativo.
Budget e dati: Per le imprese di medie-grandi dimensioni, il
fattore economico non è percepito come barriera, e soltanto il 5%
considera la questione dei dati un impedimento. Molte aziende si
ritengono infatti già pronte, avendo investito in precedenza su
progetti Big Data o sapendo di poter colmare eventuali lacune
rapidamente.
Un altro elemento cruciale è la carenza di personale specializzato: il
55,1% delle aziende segnala infatti la mancanza di competenze interne
come barriera all’adozione dell’IA. Tale lacuna si riscontra in tutti
i settori analizzati, a prescindere dalle dimensioni
organizzative. Per far fronte a questa sfida, la formazione diventa un
fattore determinante, così come l’inserimento di figure professionali
in grado di gestire tecnologie avanzate.
L’Intelligenza Artificiale può offrire soluzioni interessanti per
supportare l’upskilling e il reskilling dei dipendenti, grazie alla
capacità di analizzare le performance e proporre programmi di sviluppo
personalizzati. Tuttavia, questa modalità formativa non è ancora
largamente diffusa, complice la scarsa consapevolezza degli strumenti
disponibili e l’assenza di competenze interne necessarie per gestirli
in modo efficace.
IndustriaItaliana.it - intervista a Corrado La Forgia
L’articolo, pubblicato sul sito Industria
Italiana
del 27 Marzo 2024, riprende un’intervista a Corrado La Forgia,
vicepresidente di Federmeccanica e direttore generale di Vhit, in cui
si analizza il Piano Transizione 5.0. La Forgia esprime un punto
di vista critico, sottolineando il rischio che il piano, così come
accaduto con il precedente Piano Industria 4.0, possa non raggiungere
gli obiettivi previsti. Secondo lui, l’efficacia degli incentivi è
compromessa dall’assenza di una strategia sistemica che promuova una
reale cultura del dato e della digitalizzazione, fondamentali per
ottimizzare i processi produttivi.
Il Piano Transizione 5.0 introduce crediti d’imposta per l’acquisto di
beni strumentali 4.0, per investimenti in fonti rinnovabili e per la
formazione del personale nelle competenze legate alla transizione
verde. Tuttavia, La Forgia osserva che tali incentivi rischiano di
rimanere inefficaci se non accompagnati da un cambiamento culturale
all’interno delle aziende, soprattutto tra le PMI. Nonostante le
ingenti risorse già spese per modernizzare i macchinari, molte imprese
non hanno sfruttato appieno il potenziale delle tecnologie digitali,
lasciando i nuovi impianti scollegati e inutilizzati dal punto di
vista dell’Internet of Things.
La Forgia evidenzia che la digitalizzazione e l’interconnessione dei
macchinari sono cruciali non solo per migliorare la produttività, ma
anche per ridurre gli sprechi e favorire la manutenzione predittiva. A
suo avviso, però, il Piano Transizione 5.0 rischia di replicare i
limiti del 4.0: si incentiva l’acquisto di macchinari senza promuovere
adeguatamente il trasferimento tecnologico e la formazione necessaria
per sfruttarne il potenziale.
L’intervista sottolinea l’importanza di un’azione coordinata tra
governo, parti sociali e imprese per definire una strategia
industriale chiara e a lungo termine. Per La Forgia, è essenziale
investire nella formazione degli imprenditori, affinché possano
comprendere l’importanza della digitalizzazione e integrarla nelle
loro realtà produttive. Solo con una visione strategica che includa
anche l’aspetto culturale sarà possibile sfruttare pienamente le
opportunità offerte dal nuovo piano e garantire un futuro competitivo
e sostenibile all’industria italiana.
Organizziamo un workshop per individuare i tuoi casi studio
A che punto sei con la Transizione 4.0? Lo Smart Industry Readiness Index (SIRI)
L’Industria 4.0 sta accelerando, ma molte aziende faticano a
comprenderne il valore e come applicarla concretamente. Domande come
“Cos’è l’Industria 4.0?”, “Da dove iniziare?”, e “Quali sono le
opportunità di miglioramento?” sono comuni tra le imprese che vogliono
adottare queste soluzioni.
Per rispondere a queste sfide, è stato sviluppato il Smart Industry
Readiness Index (SIRI), un framework strutturato che aiuta le aziende
a valutare il loro livello di maturità digitale e identificare passi
pratici per il miglioramento. Basato su tre pilastri fondamentali
(Processi, Tecnologia e Organizzazione), SIRI include anche una
Assessment Matrix, uno strumento che bilancia rigore tecnico e
applicabilità pratica, definendo obiettivi finali e passaggi intermedi
per miglioramenti continui.
SIRI è un framework strutturato progettato per aiutare le imprese a
valutare il proprio livello di preparazione verso la trasformazione
digitale e l’adozione di pratiche dell’Industria 4.0. Sviluppato
originariamente dalla Singapore Economic Development Board (EDB) in
collaborazione con esperti del settore, il SIRI fornisce un approccio
standardizzato e pratico per analizzare la maturità digitale delle
aziende. Tra i partner che hanno contribuito al suo sviluppo figura il
TÜV SÜD, un ente di certificazione globale con un forte focus su
qualità, sicurezza e sostenibilità. Questa collaborazione ha permesso
di integrare standard di alta qualità e un approccio pratico per la
valutazione delle capacità delle imprese nel contesto dell’Industria
4.0.
Il SIRI offre alle imprese numerosi vantaggi nel percorso verso la
trasformazione digitale. Tra questi:
-
Benchmarking competitivo: consente alle aziende di confrontare
le proprie prestazioni rispetto a quelle dei concorrenti,
identificando con precisione le aree di forza e quelle di
miglioramento.
-
Focus strategico: aiuta le organizzazioni a focalizzarsi sulle
iniziative con il massimo impatto strategico, garantendo un
utilizzo ottimale delle risorse disponibili.
-
Flessibilità: è applicabile a qualsiasi fase del processo di
digitalizzazione, indipendentemente dal livello di maturità
tecnologica iniziale, rendendolo adatto ad aziende di tutte le
dimensioni e settori.
-
Educazione e conoscenza: fornisce una comprensione chiara dei
principi fondamentali, delle tecnologie chiave e dei
benefici tangibili dell’Industria 4.0, grazie a un framework
strutturato basato su tre pilastri, otto dimensioni fondamentali e
16 parametri chiave.
-
Guida pratica: offre una roadmap dettagliata per raggiungere
progressivamente gli obiettivi desiderati, consentendo
miglioramenti mirati e continui.
-
Linguaggio comune: elimina la confusione legata alla
terminologia tecnica dell’Industria 4.0, creando un linguaggio
standard che facilita la comunicazione tra i diversi stakeholder,
sia interni che esterni all’azienda.
-
Supporto alla trasformazione: migliora la collaborazione con i
fornitori di tecnologia, permettendo di identificare priorità,
colmare lacune e pianificare trasformazioni strutturate in
modo efficace.
La metodologia di valutazione del SIRI si basa su cinque principi
chiave che guidano un approccio strutturato e flessibile per
analizzare la maturità digitale delle imprese:
- Stato attuale come punto di partenza: il SIRI fornisce una
panoramica chiara e dettagliata dello stato attuale di maturità
digitale dell’azienda, concentrandosi sul presente anziché su
proiezioni future.
- Riferimenti standardizzati e aperti all’innovazione: utilizza i
principi dell’Industria 4.0 come base di riferimento, senza però
escludere concetti e tecnologie emergenti che potrebbero influire
sul panorama industriale.
- Copertura completa e personalizzabile: tutte le dimensioni del
framework devono essere esaminate, con un’attenzione proporzionale
alla loro rilevanza per il settore specifico e per le priorità
strategiche dell’azienda.
- Flessibilità nei risultati: il raggiungimento del livello
massimo in tutte le dimensioni non è un obiettivo universale; le
aziende dovrebbero focalizzarsi su livelli che rispecchino le loro
esigenze e ambizioni.
- Continuità nel tempo: il SIRI è concepito come uno strumento
dinamico e iterativo, da utilizzare periodicamente per supportare
un miglioramento continuo e adattarsi ai cambiamenti del contesto
aziendale.
Per maggiori informazioni, visita EDB Singapore - The Smart Industry
Readiness Index.